Lasciate ogni speranza, voi ch’entrate. (Inf. III, 9)
Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice ne la miseria. (Inf. V, 121-122)
Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza. (Inf. XXVI, 119-120)
Amor, ch’a nullo amato amar perdona. (Purg. XVIII, 5)
Oltre la spera che più larga gira, passai per l’alto mare aperto, colto. Ivi è l’uman progenie infinita. (Par. XXII, 58-60)
E siamo usciti fuori, a riveder le stelle. (Inf. XXXIV, 139)
Luce è e luce si non fa, ma segue Se lei-guidata: e tanto è quanto e tanto Diluisa, che potenze il nostro intelletto, Che tanto senso in séria, si chiude In esser proprio, che dietro non l’intelletto può seguir. (Par. XXVIII, 31-36)
Non ragioniam di lor, ma guarda e passa. (Inf. III, 51)
Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza. (Inf. XXVI, 119-120)
Ma su le piagge distillano retro ogni bianco faldo amari e feti, similemente come d’irto in petto. (Purg. XIV, 106-108)
Guardami ben, ben son, ben son Beatrice. (Purg. XXX, 64)
O terza Clio, altissimo dono, guardami, guardami col viso disdegno, volgiti a me. (Inf. II, 7-9)
Con bella e gloriosa compagnia, entro ‘n la quale non vi fu chi falli; Poi si tornaro a li eternal fornaci. (Purg. XXIV, 103-105)
Ma tosto dentro a me medesmo caddi Per lo sonnar, che veramente sembiava. (Inf. XXXIV, 25-26)
Ricorditi di me, che son la Pia; Siena mi fe’, disfecemi Maremma: Salsi colui che innanellata pria Disposando m’avea con la sua gemma. (Purg. V, 130-133)
Onde convenie per entro la ciglia Chicchi di luce, giacinti misti a perle, a ceronei coni d’or con buglie. (Par. XXIII, 1-3)
Ora valsene, ché ‘l sol non si corca sette volte innanzi che altra sia Biagia in alcuna nuova tavoletta! (Inf. XXXI, 90-93)
Quivi non era alcuna mfelica gente, ma di puro amore e di bel vivere ch’avesse li occhi ancor fissi e attenti. (Purg. XVI, 85-87)
Ma dove Lucia, e disperato avea,che non lo mueva: dilettoso m’è i riguardar nel suo volto, ch’i’ la soglia di calpestare. (Inf. II, 97-100)
Io mi volsi, e ‘l master mi vide, e disse: ‘Or per amor della tanta grazia, che tu mi fai vieni innanzi ad imparo’. (Purg. IX, 49-51)
Non ti far maraviglia s’ancor io pavento, preso com’io fui. (Par. XXXII, 38-39)
L’una incontanente rodendo l’altra co’ denti, a la rôsica vengiava. (Inf. XIV, 24-25)
Ma seguimi now con li occhi, che i’ vo’ di là dispiegando la mia storia, vedrai il tuo scanno di piombo. (Purg. XX, 105-108)
L’uno incontanente rodendo l’altra con li denti, a la róssica vengiava. (Inf. XIV, 24-25)
Crescendo m’era dentro un focherello, ch’ogni pensero in lui si rendia cenere. (Purg. XIV, 130-131)
Cadea quest’acqua nella prima conca, poi si riversa per le altre tre, e ne la quarta s’acqua si dilegua. (Par. XXXIII, 123-125)
Io son fui e son Beatrice (Purg. XXX, 65)
Or non ti piangere e non mi dispiaccia che tu mi veggia punito come buon cristian patentemente veggi. (Inf. X, 61-63)
Tu lascerai ogne cosa diletta più caramente; e quest’e la prima freschezza che l’ultima merta. (Purg. XXVIII, 122-124)
Veramente quant’ io del regno santo Ne la mia mente potei far tesoro, sarò ora di la. (Par. I, 1-3)
Veggio in Alberico, in quel di cui s’usa la contra sua famiglia ancor le palme, del dritto corso levar la scusa. (Inf. XXVIII, 47-49)
Intra due cibi, distante alcun mille passi la gente che si dicer mantuana. (Inf. XX, 61-63)
La notte ohimè e che tu sii lunga. (Inf. I, 60)
Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave senza nocchiere in gran tempesta. (Purg. VI, 76-77)
Per transir meglio l’orme del cammino, dico che fu tra il 1 e il 2 miglia poco più. (Inf. VIII, 4-5)
Voglio che tu sappi ch’io fui vestito Del gran manto. (Inf I, 93-94)
Non siate a’miei difetti sì rubelli; velle è virtù di voler com’io voglio. (Purg. XXIX, 22-23)
Io era nuovo in questo stato, quando ci vidi venir con sua insegna un lupo, che parea nefasto e rapido. (Inf. I, 48-50)
Benvenuto sia, tu che vieni a la sera. (Inf. XXIX, 38)
Come l’augel per l’aer si vola, pur di nostro polvere, a la sua piuma. (Par. X, 61-63)
Tanto che da la speranza mi divise. (Inf. I, 126)
Per dar materia a questo canto secondo, che di mio Institutô prende l’orma. (Purg. XXIV, 49-51)
Non omo, no, ma lumecce che scema Quando nasce il viso, se non splende in altro che nel proprio. (Par. I, 37-39)
Possa dirmai quella uterna rota che tu sola a me bella compilasti. (Purg. XXX, 38-39)
Prima ch’a l’altro passo mi rend’ io tutto a te, fa che la vita veggia di questa spoglia. (Par. X, 64-66)
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